
Il 19 maggio 2015 fu approvata una legge rivoluzionaria che ha fatto entrare la parola ambiente nel nostro codice penale.
C’è un prima e un dopo quella legge, che è stata approvata grazie all’entusiasmo, la passione, l’energia e la costanza del Movimento 5 Stelle, con il Pd e Sel. Salvatore Micillo, ex deputato del Movimento e oggi coordinatore regionale della Campania, è uno dei tre primi firmatari della legge, e vale la pena parlarne, oggi, perché sono trascorsi dieci anni e perché, dopo una stagione di vigore e interesse, le bonifiche dei territori inquinati sono ferme.
Grazie alla legge ecoreati sono stati introdotti il delitto di inquinamento e disastro ambientale, l’omessa bonifica, il ravvedimento operoso, sono state inasprite le pene per chi inquina ed è stata allungata la prescrizione per i reati ambientali.
Ricordo i giorni della discussione della legge: una parte del mondo imprenditoriale temeva che la sua approvazione avrebbe disincentivato l’industria italiana a investire, che molte imprese si sarebbero trasferite all’estero per paura delle pene aumentate.
È accaduto il contrario: la legge è stata uno spartiacque tra l’imprenditoria sana, che è la maggior parte, e quelli che io definisco prenditori, coloro che prendono dal territorio, inquinano, poi fuggono.
Secondo i dati di Legambiente e Libera, in questi dieci anni sono stati 6.979 i reati accertati, uno ogni tre verifiche effettuate, e sequestri per 1,155 miliardi di euro. Il reato di inquinamento ambientale è quello più perseguito, e prima della legge non esisteva.
Molte aziende hanno investito in sicurezza industriale, per uscire dall’illegalità e mettersi al riparo. Ecco allora che l’inasprimento delle pene ha avuto una funzione deterrente, che poi è quella che mi sta più a cuore. Perché, quando arriva il delitto penale tutto è già compromesso, c’è stato l’inquinamento, il danno è fatto, c’è un territorio aggredito e una comunità vinta. Quando arriva il diritto penale, abbiamo perso tutti. Il senso profondo e rivoluzionario di questa legge è di dare la possibilità alle aziende di correggere la rotta, di ravvedersi e di emergere facendo crescere non solo i propri profitti ma l’intero territorio.
Quando ero ministro dell’Ambiente ho lavorato a una legge che sarebbe stato il proseguimento naturale della legge ecoreati. L’avevo chiamata Terra mia: una norma che aveva il compito di aiutare ancora maggiormente il mondo imprenditoriale sano punendo, con il daspo, quei pochi prenditori, coloro che avvelenano il terreno, l’aria, l’acqua, che lo fanno consapevolmente e reiteratamente. Era una legge che avrebbe trattato gli inquinatori come criminali e che incrementava il monitoraggio degli impianti e la collaborazione tra le istituzioni. Ma con la caduta del governo Conte II non riuscì a essere discussa.
Inoltre costituii una direzione generale ad hoc che si occupava di bonifiche, e non è una questione meramente amministrativa, ma di personale altamente qualificato dedicato solo alle bonifiche: l’incremento dei fondi spesi fu esponenziale. Purtroppo però quel lavoro è stato smantellato da chi mi ha succeduto.
Ma è alle bonifiche che bisogna guardare per rendere efficace la tutela ambientale: c’è una media bassissima di 11 ettari bonificati l’anno. Sui 41 SIN perimetrati, solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6% bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate appena il 2%. Con l’attuale ci vorranno mediamente almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso.
Permettetemi di dire che quando arrivano le inchieste giudiziarie, le indagini degli inquirenti, gli arresti, i sequestri, il danno è fatto. Il territorio è inquinato, i cittadini rimangono inermi e impauriti, a volte hanno legittimamente paura anche a respirare. Ed è per questo che oggi noi dobbiamo assolutamente alzare il livello dell’attenzione e della pressione politica e mediatica affinché partano finalmente le bonifiche. La repressione da sola non basta, lo Stato sia capace di costruire un ambiente diverso, di tutelare i cittadini e gli ecosistemi, mettendo al centro il benessere nella tutela delle future generazioni, come prevede l’articolo 9 della Costituzione.
Allo stesso tempo occorre tenere presente che gli ecoreati hanno sempre più un impatto internazionale, sia per le matrici ambientali devastate, sia per le ecomafie capaci sempre di più di delinquere al di fuori dal confine dello Stato.
Ecco quindi che guardare avanti, al futuro della legge ecoreati significa accendere una luce sulla portata internazionale del danno ambientale, una dimensione che deve arrivare alla Corte penale internazionale e faccio appello affinché il nostro governo si unisca a quello degli altri Paesi che hanno chiesto l’introduzione del reato di ecocidio. Ricominciamo da oggi ad accendere nuovamente il faro sul tema della custodia del Creato, per salvaguardare le donne e gli uomini del futuro.
Per celebrare questa importante legge abbiamo organizzato un convegno alla Camera dei Deputati che si terrà il 19 maggio alle 15:30 “2015–2025: Dieci anni dalla legge sugli ecoreati. Bilanci e prospettive”